mercoledì 8 febbraio 2012

"Vuoi giocare? E giochiamo!"

Il tavolino del sushi bar era piuttosto piccolo. Tra la bottiglia di vermentino e i bicchieri, troppo pomposi per quello spazio esiguo, non rimaneva altro legno libero se non per le parole. Le orecchie della ragazza, una ragazza bella e giovane, erano in mille posti contemporaneamente. Poco attenta alle chiacchiere col suo amico di lunga data era decisamente distratta da un tentativo di seduzione della proprietaria del locale che, alla sua destra, bisbigliava ad un uomo. Lui, da solo, stava affrontando un tonno appena scottato e ben speziato. Alla sinistra altre quattro persone, in maniera sfacciata, commentavano quanto stava accadendo. La signora era straordinariamente bella per la sua età, un età, purtroppo un po' avanzata, e gli appetiti dell'uomo partivano dal tonno per arenarsi su una seconda ragazza, molto giovane, che al bancone si dedicava un vino di un rosso, granata, anch'esso molto attraente.
L'uomo si scostò dalla signora con un tono spazientito, per poi muoversi verso il bar.
Al tavolino la prima ragazza, divertita, guardava ed ascoltava. Non c'è forza più potente della curiosità di una donna, ed in Giulia, tale forza scorreva impetuosa. Il suo amico al tavolo non esisteva più; da lì solo frasi di circostanza, annuire qui e lì, un d'altronde ogni tanto, sotto l'egida di una scarsa attenzione sempre ben dissimulata.
L'uomo si sedette a fianco alla ragazza mentre lei stava portando alle labbra il bicchiere. Un sorso deciso: nessun assaporare, nessun degustare solo un deglutire affrettato e assetato. Poi non fece altro che mantenere lo sguardo agli occhi di lui aspettando il suo approcciarsi. Un tipo tenero? Una persona intelligente? Un maschio aggressivo? Un uomo qualsiasi?
Il giochino agli occhi di Giulia era proprio intrigante.
In quel bar il fumo era ammesso, aspirato da un tentacolare sistema di tubi e ventole che nel loro attorcigliarsi affannato poteva, ed in fondo lo era, anche sembrar sensuale.
"Raffaele" disse l'uomo, senza sorridere, alla ragazza. Poi tirò fuori dalla tasca un pacchetto di Marlboro rosse, morbide e ne offerse una. Lei ribattè che non era una fumatrice; questo prendendo una sigaretta, che non accese, dal cartoccio. Poi tornò a guardarlo, questa volta con un sorriso solo accennato ma decisamente malizioso.
La ragazza era piuttosto esile, ma ben proporzionata e molto ben vestita; capelli castani su una scollatura non vistosa che dava l'annuncio di un seno morbido e caldo; un piccolo pendente verticale e ondulato come un serpente le scendeva dal collo trascindando ancor più lo sguardo dell'uomo dove questo, naturalmente, era corso ad incastrarsi. Una femminilità consapevole e sicura.
Giulia continuava a sbirciare. Anche la signora, con tutt'altra espressione vigilava, cercando di intrattenere i clienti e soprattutto sè stessa. I quattro ridacchiavano apertamente.
Le parole che danzavano tra i due, poche peraltro, non erano percebili. A Giulia e alla proprietaria ne arrivavano pochi passi senza un palcoscenico, senza una trave e senza neanche un riflesso che lasciasse comprendere la dinamica del dialogo. Un risata musicale venne improvvisa dal bancone; la mano dell'uomo accarezzò il braccio della ragazza con la delicatezza di un concertista che si avvicina, sul palco, al proprio violino. Il tocco delicato cessò velocemente non interrotto. Lei posò il bicchiere. Lui si alzò e girandole attorno raccolse il cappotto autunnale che era posato sullo schienale di legno scuro. Lo appoggiò sulle spalle di lei che girò all'indietro il collo, elegantemente, verso il suo sguardo.
Giulia sorrise compiaciuta dall'epilogo. La signora uscendo dalla cucina non vide più nessuno al bancone. Un piatto rettangolare cadde a terra. Rumore di lacrime.

"Ogni individuo è la somma dei suoi desideri" Aristotele

"Ogni volere scaturisce da bisogno, ossia da mancanza, ossia da sofferenza. A questa dà fine l’appagamento; tuttavia per un desiderio, che venga appagato, ne rimangono almeno dieci insoddisfatti; inoltre, la brama dura a lungo, le esigenze vanno all’infinito, l’appagamento è breve e misurato con mano avara. Anzi, la stessa soddisfazione finale è solo apparente: il desiderio appagato dà tosto luogo a un desiderio nuovo: quello è un errore riconosciuto, questo un errore non conosciuto ancora. Nessun oggetto del volere, una volta conseguito, può dare appagamento durevole, che più non muti: bensì rassomiglia soltanto all’elemosina, la quale gettata al mendico prolunga oggi la sua vita per continuare domani il suo tormento. Quindi finché la nostra coscienza è riempita dalla nostra volontà; finché siamo abbandonati alla spinta dei desideri, col suo perenne sperare e temere; finché siamo soggetti del volere, non ci è concessa durevole felicità né riposo. Che noi andiamo in caccia o in fuga; che temiamo sventura o ci affatichiamo per la gioia, è in sostanza tutt'uno; la preoccupazione della volontà ognora esigente, sotto qualsivoglia aspetto, empie e agita perennemente la coscienza; e senza pace nessun benessere è mai possibile" Schopenauer

lunedì 6 febbraio 2012

Nella privata dimora del Bianconiglio

La mano scivolava sul panciotto; lo accarezzava in maniera automatica; sentiva il gonfiore dell'orologio d'argento riscaldato alla fatica della giornata. Le scale fatte mille volte ad inseguire le ansie della Regina di cuori, le quali ansie avevano un senso solo quando non erano capricci. E per lo più erano sempre e solo capricci. La deferenza assoluta dei cortigiani poi garantiva ancor più impunità ai mutamenti d'umore che già, vuoi per fatto, vuoi per diritto, erano avulsi da qualsiasi forma di controllo. O autocontrollo reale. In più la Regina non aveva un carattere indolente, o un indole annoiata. Curiosissima posava i suo occhi su tutto. Costantemente. "Se non altro non parla poi un granchè." Pensava.
Ma per fortuna della sua pace era notte avanzata e il sonno, meritato, era a portata di mano. La sera era scivolata via leggera e il bianconiglio ardeva dalla necessità di riposare. La mano era scivolata lungo l'addome seguendone la curva con la lentezza di chi non deve più dire "E' tardi, è tardi". Che poi quello del tardare era una ansia ereditata. Dalla Regina. Si diceva sempre mentendosi un po'.
"Puoi lavorare anche odiando il tuo lavoro. Purchè tu lo faccia con celerità" Le disse, non con cortesia, sua Maestà un giorno di... quanti erano? Milioni di secondi fa? Miliardi?
Lui, in ogni caso, al dovere della celerità si era sempre attenuto, con rispetto, senso del dovere ed abnegazione. Gli anni pesavano un poco ma il taglio delle testa era una ricompensa che non sentiva di meritare. E quindi faceva di tutto per non meritarla.
Lo specchio quella sera rimandava una immagine un po' inconsueta. La stanchezza della giornata stava amplificando significativamente i segni dell'età. Il collo risultava ondulato e grinzoso ed il pelo non era per nulla lucido; con disordine era cresciuto in maniera disuguale: un ciuffo piuttosto folto aveva trovato dimora sulla parte destra della gola mentre il pelo risultava più uniforme ma più rado alla parte opposta. Un disordine piuttosto improvviso e comunque da gestire prima di presentarsi domani agli uffici del proprio dovere.
"Solo stanchezza" borbottò.
Cercò il taschino ma, la forma dell'orologio sembrava esser ...meno gonfia. Meno rotonda. Meno solida. La carezza si fece una pacca. E la pacca battè ripetutamente sul tessuto giallo adornato da piccoli rombi bianchi disposti trasversalmente.
"C'è qualcosa che non va".
Infilò la mano nervosamente e non volle credere a quello che al suo tatto percepiva. Una forma fluida, tiepida. Mutevole. L'orologio si era quasi sciolto. Non completamente però. La parte superiore era intatta. Le dodici erano dove le dodici dovevano essere e con esse le scadenze che l'ora tonda portava sempre con sè. La parte inferiore invece sembrava quasi colare dal palmo della sua mano e gocce metalliche avevano subito bagnato le assi di legno della sua camera. Un bel guaio. La Regina veniva spesso lì e detestava, tra le tante altre cose che detestava, soprattutto un qualsiasi segno di disordine o incuranza.
Proprio al centro della sua camera da letto ora brillava una piccola costellazione d'argento.
"Un guaio, un guaio." Blaterò infrettolito."Pulire, pulire. Pulire subito!"
Aggredito dai suoi abituali istinti si recò velocissimo presso il gabinetto dove sapeva che Marianna riponeva, a caso spesso, tutti gli strumenti che rendevano presentabile la casa. La finestra era aperta, ed un aria troppo fredda per una qualsiasi domenica di settembre si infilava rumorosamente nell'ambiente. La fretta stavolta era troppa, sia per le possibilità dei suoi piedi sia per le risposte che l'età avanzata potesse dare e, a causa, di uno straccio lasciato senza cura nel pieno del passaggio il cambiamento da uno stato di verticale equilibrio a quello di una stabile orizzontalità fu rapidissimo. Il volteggio fu anche bello: uno splendido e impossibile mulinare degli arti, tanto celere da non essere replicabile nel ricordo.
Si trovò supino a guardare l'immobilità di un soffitto attraversato da travi di legno.
La testa aveva battuto all'indietro ma non con violenza. Il trauma era stato piuttosto leggero e "Prendo fiato per un attimo e mi alzo" pensò. L'orologio però era volato via andando a completare nel bagno il disegno del tessuto aereo del cielo stellato che prima aveva solo accennato nella camera da letto.
"Un altro guai..." Provò a dire ma la testa gli doleva e l'ultima vocale rimase nel mondo delle intenzioni non trovando spazio in quello del suono. La vista ballava leggermente ed furono necessari diversi battiti di ciglia per rimettere a fuoco la realtà.
Un corvo. La realtà era un corvo. Chissà da dove se ne era uscito quell'animale nero. In più era proprio un bel corvo, il color dell'ombra della notte, maestoso, un collo potente ed un becco massiccio del color della cenere. Tutta la sua testa sembrava perfettamente architettata per il solo mangiare.
Scese dalla finestra con un saltello rimanendo a guardare il coniglio imbambolato e crocefisso al suolo da una pezza di cotone. Sulla parte interna del davanzale si riposò un secondo e dopo uno sguardo a destra ed un uno in basso fu subito sul pavimento del bagno. Gli occhi del bianconiglio ne fissavano il becco non osando guardare gli occhi inespressivi e feroci. Il corvo avanzò verso il suo corpo giacente pietrificato dalla paura. Ne raggiunse lo stivale destro che aveva aveva abbandonato la zampa nel volteggio e lo superò con assoluta incuranza. Così fece anche con la zampa stessa proseguendo lungo un asse che procedeva lineare alla destra del petto del coniglio. Saltello dopo progresso, scatto dopo guizzo si diresse verso l'orologio che dalla mano che tante volte lo aveva accarezzato era volato via, caduto all'indietro e rotolato fino quasi alla porta di ingresso. Non degnò di uno sguardo neanche il relitto del suo metro delle ansie ma si concentrò su tutte le piccole stelle d'argento che si trovavano sparse su quattro, cinque piccole mattonelle. E iniziò a beccarle tutte. Tutto il tempo perduto della vita del bianconiglio veniva fagocitato incontrollabilmente goccia dopo goccia, rimorso dopo rimorso, incapacità dopo incapacità, finchè, sul pavimento del bagno, non ci fu più alcun tempo perduto.
Con la coda dell'occhio destro il coniglio stava fissando tutto quel beccare senza alcuna ulteriore percezione se non quella di sollievo data dal pensiero che la regina non l'avrebbe decapitato.
La porta era socchiusa e il corvo che non sembrava sazio ma soltanto piuttosto distratto ed annoiato avanzò verso l'uscita.
Il coniglio tese l'orecchio ed udì un secondo martellare provenire dalla sua camera. Durò pochi attimi, frazioni infinitesimali delle frazioni di un giorno qualsiasi. Il coniglio strizzò gli occhi e vide un corpo alato planare sopra di sé attraversando il campo del suo sguardo dalla cima del cappello alla punta dello stivale sinistro per poi tornare fuori verso la notte e il buio che ne erano la residenza, la dinastia e la patria.
Un po' sconvolto, il bianconiglio si tirò su mettendosi a sedere. Raccolse lo stivale e si sistemò il cappello un po' bagnato sulla testa.
"Domani dovrò comprare un nuovo orologio."

mercoledì 30 novembre 2011

Winston Churchill - We shall never surrender

Anche se ampi territori d'Europa e molti antichi e famosi stati sono caduti o stanno per cadere nelle grinfie della Gestapo e sotto le odiose norme dell'apparato nazista, noi non demorderemo né verremo meno. Noi procederemo fino alla fine. Noi combatteremo in Francia, noi combatteremo sui mari e sugli oceani, noi combatteremo con crescente fiducia e crescente forza nell'aria. Noi difenderemo la nostra Isola, a qualunque costo. Noi combatteremo sulle spiagge, noi combatteremo nei luoghi di sbarco, noi combatteremo sui campi e sulle strade, noi combatteremo sulle colline; noi non ci arrenderemo mai; e anche se, cosa che io al momento non credo [si avveri], quest'Isola o una gran parte di essa venisse sottomessa ed affamata, allora il nostro Impero d'oltremare, armato e difeso dalla Flotta Britannica, continuerà la battaglia finché, quando Dio vorrà, il Nuovo Mondo, con tutta la sua potenza e la sua forza, verrà a soccorrere ed a liberare il Vecchio. (dal Discorso tenuto il 4 giugno 1940 al Parlamento britannico, dopo il rimpatrio della BEF dal porto e dalle spiagge di Dunkeque)

Da Stettino nel Baltico a Trieste nell'Adriatico una cortina di ferro è discesa attraverso il continente. (da un discorso tenuto all'università di Fulton, Missouri, il 5 marzo 1946, riferendosi all'instaurarsi del blocco sovietico e all'inizio della guerra fredda)

Dobbiamo stare attenti a non attribuire a questo trasferimento gli attributi di una vittoria. Le guerre non si vincono con le evacuazioni. (dal Discorso tenuto il 4 giugno 1940 al Parlamento britannico dopo il rimpatrio della BEF dal porto e dalle spiagge di Dunkeque)

È impossibile ottenere una condanna per sodomia da una giuria inglese. Metà dei giudici non crede che possa essere fisicamente compiuta, e l'altra metà la sta facendo. (citato in Julian L'Estrangel, The Big Book of Sex Quotes, Cassel, Londra)
Essere accondiscendenti per debolezza e per paura è... fatale. Esserlo da una posizione di forza è magnanimo. (da una lettera indirizzata a Dwight D. Eisenhower nel dicembre 1950

È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle forme che si sono sperimentate fino ad ora. (dal discorso alla Camera dei Comuni del novembre 1947)

Gli Italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre.

I dittatori cavalcano avanti e indietro su tigri dalle quali non osano scendere. E le tigri diventano sempre più affamate. (da While England slept)

I panni dei servizi segreti si possono, anzi si devono lavare più spesso degli altri; ma, a differenza degli altri, non si possono mettere ad asciugare alla finestra. (riportata da Indro Montanelli su Il Giornale del 28 novembre 1975)

I problemi della vittoria sono più piacevoli di quelli della disfatta, ma non sono meno ardui. (dal discorso alla Camera dei Comuni del 11 novembre 1942)

I socialisti sono come Cristoforo Colombo: partono senza sapere dove vanno. Quando arrivano non sanno dove sono. Tutto questo con i soldi degli altri.

I risparmi sono una cosa molto buona soprattutto se i tuoi genitori li hanno fatti per te.

[Dopo la fucilazione di Gian Galeazzo Ciano] I veri furfanti sono di un'altra stoffa.

Il fattore centrale della politica sovietica era la paura [...] Mosca temeva la nostra amicizia più della nostra inimicizia [...] La forza crescente dell'Occidente avrebbe rovesciato questo stato di cose, inducendoli a temere la nostra inimicizia più della nostra amicizia, e quindi a cercare la nostra amicizia. (1950; citato in John Lukacs, Democrazia e populismo, traduzione di Giovanni Ferrara degli Uberti, Longanesi, 2006, p. 186)

L'epoca della procrastinazione, delle mezze misure, del mitigare, degli espedienti inutili, del differire sta giungendo alla fine. Ora stiamo entrando nell'epoca dove ogni azione causa conseguenze. (dal discorso alla House of commons del 12 novembre 1936; citato anche in Al Gore, Una scomoda verità)

L'ottava armata avanza su Tripoli, valanga di ferro, di fuoco e di speranza. (da Radio Londra)

La democrazia è più vendicativa dei Gabinetti. Le guerre tra i popoli saranno più orribili di quelle tra i re. (da un discorso del 1901 al Parlamento inglese)[6]
La massima del popolo inglese è: Business as usual [Affari come sempre] (dal discorso alla Guildhall del 9 novembre 1914)

La Russia è stata ibernata in un inverno indefinito di subumana dottrina e di sovrumana tirannide. (da Dopoguerra, a proposito dell'affermarsi della rivoluzione bolscevica [7])

[Al presidente americano Franklin Delano Roosevelt] La sostituzione di Badoglio con questo gruppo di vecchi e famelici politicanti è, credo, un grande disastro; dal momento in cui, sfidando il nemico, Badoglio ci ha consegnata sana e salva la flotta, egli è stato per noi un utile strumento. Era inteso, credo, che egli sarebbe dovuto rimanere al suo posto... (citato in Corriere della sera, 9 febbraio 2010)

La verità è cosi preziosa che bisogna proteggerla sempre con una cortina di bugie. (da La Seconda guerra Mondiale, V, p. 447, 1948-1954)

Meglio fare le notizie che riceverle; meglio essere un attore che un critico. (da The Story of the Malakand Field Force, 1898)

Nessuno può garantire il successo in guerra, può solo meritarlo. (da Storia della Seconda guerra mondiale)

Non c'è, per nessuna comunità, investimento migliore del metter latte dentro ai bambini. (dal discorso alla radio del 21 marzo 1943)

Non è la fine. Non è neanche il principio della fine. Ma è, forse, la fine del principio. (dal discorso alla Mansion House del 10 novembre 1942, a proposito della vittoria alleata in Egitto)

Non esisterà mai una guerra né piacevole, né veloce. (Winston Churchill, The Second World War, Houghton Mifflin, London, 1951)

Non ho altro da offrire che sangue, fatica, lacrime e sudore. (dal discorso alla Camera dei Comuni del 13 maggio 1940, replicato alla BBC circa un mese dopo)

Non siamo un popolo giovane con un passato innocente e una piccola eredità. Ci siamo accaparrati [...] una quota assolutamente sproporzionata dei beni e dei traffici mondiali. Abbiamo tutti i territori che vogliamo, e la nostra pretesa di essere lasciati in pace a godere di possedimenti vasti e splendidi, acquisiti principalmente con la violenza, mantenuti in gran parte con la forza, in molti casi sembra agli altri più irragionevole che a noi. (da un discorso al parlamento, prima della prima guerra mondiale; citato in Chomsky 2004, p. 33)

Potevano scegliere fra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra. [riferendosi agli accordi di Monaco di Baviera del 29-30 settembre 1938]

(citato in G. Sabbatucci e V. Vidotto, Il mondo contemporaneo, Laterza, 2006, p. 373)
Sfuggiremo all'assurdità di far crescere un pollo intero, solo per mangiarne il petto o l'ala, facendo crescere queste parti separatamente in un ambiente adatto. (da Fifty Years Hence, The Strand Magazine, dicembre 1931)

Si pone la questione: che cosa succederà quando anche loro [L'Unione Sovietica] avranno la bomba atomica e ne avranno accumulate un bel po'? Potete giudicarlo da voi considerando ciò che sta avvenendo oggi. Se sono capaci di tanto in periodi di magra, che cosa faranno in momenti di abbondanza? Se, mese dopo mese, sono capaci di continuare nella loro opera di disturbo e di vessazione nei confronti del mondo, fiduciosi che noi, inibiti dalle nostre convinzioni cristiane ed altruistiche, non useremo questo strano nuovo potere contro di loro, ditemi voi, che cosa faranno nel momento in cui saranno anch'essi in possesso di una grande quantità di bombe atomiche?

Si tratta di un indovinello, avvolto in un mistero all'interno di un enigma. (Da un discorso radiotrasmesso il 1° ottobre 1939, a proposito delle intenzioni dell'Unione Sovietica, dopo la spartizione militare della Polonia insieme alla Germania hitleriana)

Un'indifferenza alla logica, laddove possa condurre facilmente a gravi affanni, è una delle più spiccate peculiarità inglesi. (Marlborough, vol. I

Una pecora in abito da pecora. [Riferendosi a Ramsay MacDonald] (citato in Nigel Rees, Sayings of the Century, p. 106, citando William Safire, Safire's Political Dictionary, 1980. Citazione spesso erroneamente ritenuta riferita a Clement Attlee)

mercoledì 16 novembre 2011

come passare un sabato di novembre

Presso Badia Tedalda in quel dell'aretino, in una fredda serata di novembre di un qualsiasi sabato donatoci dal cielo, una cena, una battaglia, un solo nemico: il tartufo.
Farcela anche non romanamente, ma farcela, per Giunone!!!

Aperitivo:
Strapazzata al tartufo, Pane cotto, Olive ascolane, Ricotta con cipolle, Bruschetta al lardo, Bruschetta al tartufo.
Antipasto:
Insalata al tartufo, Lombetto di maiale con tartina al tartufo, Carpaccio di chianina al grana, Girella al paté di prosciutto con radicchio, Crespelle funghi e tartufo, Cipolle fritte, Crostino di polenta fritta al ragù di cacciagione, Crostino toscano, Delizie di chianina, Zuppetta al tartufo bianco, Patate al tartufo, Timballo di riso agli straccetti di chianina con funghi porcini.
Primi:
Fettuccine al tartufo, Ravioli di ricotta e verdura al ragù di chianina.
Secondi:
Filetto di maiale al gorgonzola, Faraona ripiena alla garfagnana, Porcini fritti, Tortino di cavolfiore, Tagliata di chianina.
Dolce:
Panna cotta ai frutti di bosco caldi.

Vini:
Prosecco, Sangiovese, Chianti.

domenica 20 marzo 2011

Swordfishtrombones ed un'arancia

M. camminava attraverso il Jefferson National Memorial in direzione del Eads Bridge lungo un viale alberato ospite della sua patria attuale.

La gente si disperdeva all'uscita dallo Stadio dei Rams ognuno ben protetto dal freddo di una giornata che di autunnale oramai aveva poco.I ragazzi avevano perso. Ma non era una novità. Succedeva tutti gli anni. Meglio attendere la stagione del baseball. I Cardinals, quelli sì che le soddisfazioni non le lesinano.

Il Gateway Arch era già alle spalle da molti passi, un altro arco in pietra, ben più piccolo e sarebbe entrato nella città vecchia.

La partita era stata disastrosa: la 4a sconfitta consecutiva. 34 a 17. A parte la fortunosa vittoria coi Redskins si raccoglievano soltanto schiaffoni. Solo Schiaffi. Raiders, Tampa bay e anche i Lions di Detroit. Addirittura i Lions di Detroit.
E domani è pure lunedì.
"Ma sì una birra da Big Daddy e si torna a casa". Pensava J.

Camminare sul quel pavè gli metteva un senso di nostalgica serenità. Da quando era negli States non faceva che cercare ovunque un po' di Europa. La vecchia cara Europa. E nella sostanziale insensatezza di Saint Louis quel quartierino di poche strade ortogonali affacciato sul Mississipi poteva per qualche giorno sembrar casa.
M. aveva passato tutto il pomeriggio a sezionare, distruggere e riplasmare il secondo capitolo del suo saggio su "La Louisiana Purchase. Il punto di vista francese" ed alla fine del pomeriggio "I nativi americani e politica francese alla fine del 700" sembravano entrambi aver trovato una forma, se non definitiva almeno convincente.
Soddisfatto del lavoro svolto aveva pensato con profonda arsura all'ipotesi di passare da Big Daddy per rilassarsi bevendo qualcosa. E così: guanti scuri, il cappotto grigio lungo e caldissimo, e con un bel sorriso era uscito di casa.
"Una giornata decisamente proficua"


J. attraversava velocemente la 3a strada al coperto del cavalcavia della sovrastante highway70 quando alcune gocce di pioggia si erano messe ad annunciare, ancora con modestia, che l'inverno oramai era proprio alle porte.
Accelerando i passi e con lo sguardo al traffico aveva trascurato una pozzanghera che irriverente e piuttosto profonda lo attendeva già da qualche ora vicino al ciglio del marciapiede. Scarpa, piede e parte del jeans si erano bagnati completamente.
"Che giornata stupida".

martedì 16 marzo 2010



Il protagonista è senza nome; una delle poche figure inventate del romanzo. Durante il racconto di nomi ne prende vari: all'inizio, seguendo il Magister Thomas usa il suo originario, in seguito si fa chiamare Gustav Metzger, Lucas Niemanson, Lienhard Jost, Gerrit Boeckbinder, Lot, Hans Grüeb, Ludwig Schaliedecker, Tiziano e Ismael Il-Viaggiatore-Del-Mondo. Prende parte a buona parte delle sollevazioni e rivolte nell'Europa centrale del suo tempo.




* Questa fatica, che torna ad addentarmi, l'avevo scordata, annullata dalla forza di chi si arrampica oltre l'orlo della disfatta. (p. 20)
* In questa vita ho imparato una cosa sola: che l'inferno e il paradiso non esistono. Ce li portiamo dentro dovunque andiamo. (p. 154)
* La libertà dello spirito non ha prezzo, ma questo mondo vuole imporne uno a ogni cosa. (p. 160)
* Gli amici sono morti e per quelli che restano ho scoperto di essere sordo. Dio non c'entra più; ci ha abbandonato in un giorno di primavera, sparendo dal mondo con tutte le sue promesse e lasciandoci in pegno la vita. La libertà di spenderla tra quelle cosce bianche. (p. 170)
* La loro tolleranza era un lusso per benestanti che non sarebbe mai andata oltre la concessione di un piatto di minestra ai poveri. (187)
* Aveva qualcosa di terrificante nello sguardo: l'innocenza. (p. 207)
* Ieri ho domandato a un pargolo di cinque anni chi fosse Gesù. Sapete cosa ha risposto? Una statua. (p. 223)
* É la consapevolezza che mi avevi dato: non libereremo mai i nostri spiriti, senza liberare i nostri corpi. (p. 237)
* Il segno non è introno a te, non è nei muri, nei mattoni, nella calce, nei ciottoli, no, non troverai ciò che vai cercando. Il segno è la ricerca stessa, il segno sei tu che arranchi nel fango delle strade. (p. 237)
* Ero più vicino io a Dio in mezzo alle mie puttane che tutti quei letterati con la puzza sotto al naso e che poi venivano a farsi trattare i piselli da loro! (p. 245)
* Sradica l'albero genealogico dell'avversario con la forza del turpiloquio. (p. 256)
* Non rinnegare mai a te stesso ciò per cui hai combattuto. [...] La sconfitta non rende ingiusta una causa. (p. 335)
* La memoria. Sacca piena di cianfrusaglie che rotolano fuori per caso e finiscono col meravigliarti, come se non fossi stato tu a raccoglierle, a trasformarle in oggetti preziosi. (p. 345)
* Vedi? Il denaro non lo puoi rovesciare: comunque lo giri ti mostra sempre una faccia. (p. 355)
* La differenza tra un Papa e un profeta è solo nel fatto che si contendono l'un l'altro il monopolio della verità, della parola di Dio. (p. 356)
* I libri cambiano il mondo soltanto se il mondo riesce a digerirli. (p. 415)

giovedì 4 marzo 2010


Il tipico romanzo "psicologico" tende a essere informe. I russi e i discepoli dei russi hanno dimostrato fino alla noia che nessun uomo è impossibile: suicidi per felicità, assassini per benevolenza, persone che si adorano fino al punto di separarsi per sempre, delatori per fervore e per umiltà... Questa totale libertà diventa alla fine equivalente al totale disordine. (p. 17-18)

lunedì 1 marzo 2010

volendolo o nolendolo...

Abele e Caino s'incontrarono dopo la morte di Abele. Camminavano nel deserto e si riconobbero da lontano, perché erano ambedue molto alti. I fratelli sedettero in terra, accesero un fuoco e mangiarono. Tacevano, come fa la gente stanca quando declina il giorno. Nel cielo spuntava qualche stella, che non aveva ancora ricevuto il suo nome. Alla luce delle fiamme, Caino notò sulla fronte di Abele il segno della pietra e lasciando cadere il pane che stava per portare alla bocca chiese che gli fosse perdonato il suo delitto. Abele rispose: "Tu hai ucciso me, o io ho ucciso te? Non ricordo più: stiamo qui insieme come prima". "Ora so che mi hai perdonato davvero" disse Caino "perché dimenticare è perdonare. Anch'io cercherò di scordare". Abele disse lentamente: "È così. Finché dura il rimorso dura la colpa".


sabato 6 febbraio 2010

il Bambino Orango

Puntata numero 3 : il bambino Orango.

Il bambino Orango è un avvocato 32enne che da sempre sfiora il metro e settanta. Perennemente impegnato nel raggiungimento di questo obiettivo si sveglia, il giorno del suo compleanno con la sana intenzione di portare Gingillo, il suo fedele compagno di giochi, ad orinare. Ma alterna Fortuna lo aspetta al varco : una antipatica maniglia infatti gli ostruisce la strada, mentre il suo bisogno aumenta la pressione e la pressione stringe la vescica e la vescica alimenta il nervosismo. Difficile riflettere in cotale disperata condizione. Così il piccino inizia a picchiare violentemente l'ostacolo ligneo, laddove infatti la ragione non può arrivare spesso è la violenza a sistemare le questioni. La questione, arcigna e riottosa però, non voleva farsi sistemare, così l'accigliato ma mai domo ometto ingrugnito inizia a cercare soluzioni tastando piccole finestre che danno verso la luce, forse la salvezza, sicuramente il cesso. Che so ? Infilare un braccio per trovare una maniglia esterna, rattrappirsi fino ad uscire da un pertugio di 10 per 10 centimetri, qualunque soluzione quella mente disperata va cercando con le mani, avendo evidentemente adbicato il cervello alla soluzione dell'inestricabile dilemma. Ma ecco,passati 10 minuti, le sue umide e aperte pupille trovano le altrettanto aperte pupille del bambino quadrato, che felicemente svegliatosi grazie alle continue mazzate sulla porta accorre al grido di aiuto del bambino.L' Orango cavernoso intima "Quadro, provaci tu !". Tre secondi dopo il bambino quadrato dopo aver pronunciato ad alta voce le parole "Non si solleva, scorre", e celato una maledizione tra i denti, tra le risate del bambino Cesaroni può finalmente rimettersi a dormire. Sereno.

Grazie Enrico, io ti voglio bene.

Q.

martedì 26 gennaio 2010

Prologo

Dal diario di SEBASTIANO R.
Giugno 1975

Ho voluto vincere. Ho voluto vincere a qualunque costo; che pagassi io o meno. Avrei accettato anche di essere io il prescelto ma, del resto, non è mai accaduto che il vincitore della Corsa fosse anche il prescelto. Sono due persone diverse. Lo sono sempre state. Devono esserlo. Chi vince vive. E con lui vive la città. E Chi muore … beh muore perchè la città rinasca. Rinasca forte in tutte le sue tradizioni, nella sua dimensione presente e con tutta la gloria del suo passato. La gloria della battaglia di Vallinfreda vinta contro i Farnese, la gloria della battaglia vinta a Montopoli contro gli Orsini. La gloria di una libertà fiera. La gloria di decenni e decenni di libertà. Io non so chi dovrà morire, né mi sento responsabile della sua morte. Mi è stato chiesto semplicemente di correre. E la sorte mi ha dato Capablanca, il miglior cavallo possibile. Non l'ho scelto io. Alla fine a pensarci bene non ho neanche vinto io. Ha fatto tutto il cavallo. Nessuna esitazione a nessuna curva. Si è buttato dentro sempre come se la vittoria fosse necessaria ed i rischi, tutti i rischi, inesistenti, inutili come una vita mediocre. A ponte di Sopra ero già davanti. Alla compressione di via dei banchi nessun' altro rione era neanche lontanamente competitivo. Era tutto scontato. Senza alternative. Necessario come la vita. Necessario come Dio. All'ingresso della bocca di San marco quando il buio mi ha inghiottito tremavo come un bambino. Avevo vinto, lo sapevo già che avevo vinto, ed avevo una paura infinita. Un paura innominabile. Sulla piazza tutti si aspettavano la mia vittoria ma nessuno in fondo al proprio cuore sperava che fosse reale. Che accadesse davvero. Un miracolo, un incidente, la pioggia, un azzoppamento, avrebbero preferito una qualunque assurdità. Ma in realtà tutti sapevano che avrei vinto. Il silenzio che ha accompagnato il mio ingresso nella piazza non potrà mai dimenticarlo. La mia gente mi ha tradito. Ha tradito il mio futuro. Ho solo 17 anni. Solo 17 anni. Ieri festeggiavano la vittoria e già oggi i primi hanno iniziato a dirmi che ho armato la mano dell'assassino. Che per la gloria di me stesso e della mia gente, per il venerabile rione di Ponte, avevo sacrificato una persona innocente. Ma loro! Mi hanno voluto loro per la corsa. Loro hanno voluto che vincessi. Loro pensavano che fossi il miglior cavaliere possibile. Il sorteggio mi ha messo su quel cavallo. Io non c'entro. Io ho solo assecondato quel demonio. Il frustino l'ho usato solo alla partenza. Tre scudisciate e basta. Il resto del tempo l'ho passato a reggermi. Io non c'entro. Io. Io. Io. Non ho voluto tutto questo.