lunedì 8 dicembre 2008

giovedì 9 ottobre 2008

La biblioteca di Babele

Come tutti gli uomini di Babilonia, sono stato proconsole; come tutti, schiavo; ho conosciuto anche l'onnipotenza, l'obbrobrio, le carceri. Guardino: la mia mano destra è monca dell'indice. Guardino: per questo strappo del mantello si vede sulla mia carne un tatuaggio vermiglio: è il secondo simbolo, Beth. Le notti luna piena, questa lettera mi conferisce potere sugli uomini il cui marchio è Ghimel, ma mi subordina a quelli di Aleph, che nelle notti senza luna debbono obbedienza a quelli di Ghimel. Sul crepuscolo del mattino, in un sotterraneo, ho sgozzato tori sacri dinanzi alla pietra nera. Per tutto un anno della luna, sono stato dichiarato invisibile: gridavo e non mi rispondevano rubavo il pane e non mi decapitavano. Ho conosciuto ciò che ignorano i greci: l'incertezza. In una camera bronzo, davanti al laccio silenzioso dello strangolatore ho avuto speranza; nel fiume dei piaceri, paura. Eraclide Pontico riferisce con ammirazione che Pitagora ricordava d'essere stato Pirro, e prima di lui Euforbo e ancor prima un qualche altro mortale; per ricordare vicissitudini analoghe, io non ho bisogno di ricorrere alla morte, nè all'impostura.

Debbo questa varietà quasi atroce a un'istituzione che altre repubbliche ignorano, o che opera in esse modo imperfetto e segreto: la lotteria. Non ho indagato la sua storia; so che i maghi che ne ragionano non sono giunti a un accordo; so dei suoi scopi poderosi ciò che può sapere della luna l'uomo non versato in astrologia. Sono di un paese vertiginoso dove la lotteria è parte principale della realtà; fino ad oggi, pensai così poco ad essa come alla condotta degli dei indecifrabili o del mio cuore. Ora, lontano da Babilonia e dai costumi che amo, penso con qualche stupore alla lotteria, e alle congetture blasfeme che mormorano nel crepuscolo gli uomini velati.

Mio padre raccontava che anticamente - anni addietro? secoli? - la lotteria fu a Babilonia un gioco di carattere plebeo. Diceva (se sia vero non so) che i barbieri distribuivano, in cambio di monete di rame, rettangoli d'osso o di pergamena ornati di simboli. Il sorteggio si faceva di giorno: i favoriti ricevevano, senz'altra convalida del caso, delle monete d'argento coniate. Come vedono, il procedimento era elementare.

Naturalmente, queste lotterie fallirono. La loro virtù morale era nulla. Non si rivolgevano a tutte le facoltà dell'uomo: solo alla sua speranza. Aumentando l'indifferenza del pubblico, gli affaristi che avevano fondato queste lotterie venali cominciarono a perdere il denaro. Qualcuno tentò una riforma: l'interpolazione di poche sorti avverse tra il numero di quelle favorevoli. In virtù di questa riforma, gli acquirenti di rettangoli numerati si mettevano al duplice azzardo di riscuotere un premio e di pagare una multa a volte ingente. Questo tenue rischio (per ogni trenta numeri favorevoli ve n'era uno disgraziato) risvegliò com'è naturale, l'interesse del pubblico. I babilonesi si dettero massa a questo gioco. Chi non acquistava sorti era considerato un pusillanime, un dappoco. Col tempo, questo disprezzo crebbe a includere non solo quelli che non giocavano, ma anche quelli che avendo giocato, e perduto, si rassegnavano alla conciliazione dell'ammenda. La Compagnia (così si cominciò allora a chiamarla) dovette vegliare sugli interessi dei vincitori, che non potevano riscuotere i premi se mancava nelle casse l'importo quasi totale delle multe. S'intentarono processi ai perditori che non pagavano: il giudice li condannava al pagamento della multa e delle spese, o a qualche giorno di carcere. Tutti, pur di defraudare la Compagnia, optarono per il carcere. Da questa bravata di alcuni nacque l'onnipotenza della Compagnia - il suo valore ecclesiastico, metafisico.

In poco tempo, i bollettini di sorteggio finirono per omettere la lista delle multe e si limitarono a elencare i giorni di prigione relativi a ciascun numero avverso. Questo laconismo, che passò allora quasi inavvertito, fu di importanza capitale. Fu la prima apparizione nella lotteria di elementi non pecuniari. Il successo fu grande. Su insistenza dei giocatori, la Compagnia si vide costretta ad accrescere la proporzione dei numeri avversi.

È noto che il popolo di Babilonia è molto devoto alla logica, e anche alla simmetria. Era illogico che i numeri fausti si computassero in tonde monete e gli infausti in giorni e notti di carcere. Alcuni moralisti osservarono il possesso di monete non sempre determinare la felicità; ed esservi, forse, forme più dirette della fortuna.

Un'altra inquietudine s'allargava nei quartieri poveri. I membri dei collegio sacerdotale moltiplicavano le poste e godevano di tutte le vicissitudini del terrore e della speranza; i poveri (con invidia ragionevole, e comunque inevitabile) si vedevano esclusi da questo va e vieni, notoriamente delizioso. Il giusto desiderio che tutti, poveri e ricchi, partecipassero egualmente alla lotteria, promosse un'agitazione indignata, la cui memoria non s'è cancellata ancora. Alcuni ostinati non compresero (o finsero di non comprendere) che si trattava di un ordine nuovo, di una necessaria tappa storica... Uno schiavo rubò un biglietto cremisi, che nel sorteggio lo designò per la bruciatura della lingua. Il codice prevedeva la stessa pena per chi rubava un biglietto. Alcuni babilonesi argomentarono che colui meritava il ferro rovente nella sua qualità di ladro; altri, magnanimi, che il carnefice doveva applicarglielo poiché così aveva voluto il caso. Vi furono tumulti, effusioni deplorevoli di sangue; ma la gente di Babilonia impose finalmente la sua volontà contro l'opposizione dei ricchi. Il popolo conseguì appieno i suoi fini generosi. In primo luogo, ottenne il trasferimento alla Compagnia di tutti i poteri pubblici. (Questa unificazione era necessaria, data la vastità e complessità delle nuove operazioni.) In secondo luogo, ottenne che la lotteria fosse segreta, gratuita e universale. Fu abolita la vendita mercenaria delle sorti. Iniziato ai misteri di Bel, ogni uomo libero partecipava automaticamente ai sacri sorteggi che si facevano nei labirinti del dio ogni sessanta notti, e che determinavano il suo destino fino al nuovo esercizio. Le conseguenze erano incalcolabili. Una giocata fortunata poteva bastare per entrare nel concilio dei maghi, o per mandare in prigione un nemico (notorio o intimo), o per incontrare, nella calma oscurità della propria stanza, la donna che comincia a inquietarci e che non speriamo di rivedere; una giocata avversa, invece, poteva significare una mutilazione, l'infamia, la morte. A volte un fatto solo - il taverniere assassinato da C, l'apoteosi misteriosa di B - era la soluzione geniale di trenta o quaranta sorti. Combinare le giocate era difficile; ma bisogna ricordare che gli uomini della Compagnia erano (e sono) onnipotenti e astuti. Molte volte, il sapere di certe felicità che erano semplice fattura del caso, avrebbe potuto diminuirne l'efficacia; per evitare quest'inconveniente, gli agenti della Compagnia usavano di suggestioni e della magia. I loro passi, i loro maneggi, erano segreti. Per scoprire le intime speranze e gli intimi terrori di ciascuno, disponevano di astrologi e di spie. V'erano certi leoni di pietra, v'era una latrina segreta chiamata Qaphqa, v'erano certe crepe in un acquedotto polveroso che, secondo l'opinione generale, arrivano alla Compagnia; gente maligna o benevola depositava delazioni in questi luoghi. Un archivio alfabetico raccoglieva queste informazioni di varia attendibilità.

Incredibilmente, non mancarono mormorazioni. La Compagnia, con la sua abituale discrezione, non replicò direttamente. Preferì sgorbiare sulle rovine d'una fabbrica di maschere un argomento breve, che ora figura nelle scritture sacre. Questo scritto dottrinale osservava che la lotteria è un'interpolazione del caso nell'ordine del mondo, e che accettare errori non è contraddire al caso, ma corroborarlo. Osservava pure che quei leoni e quel recipiente sacro, anche se non sconfessati dalla Compagnia (che non rinunciava al diritto di consultarli), funzionavano senza garanzia ufficiale.

Questa dichiarazione calmò le inquietudini del pubblico. Produsse anche altri effetti, forse non previsti dall'autore. Modificò profondamente lo spirito e le operazioni della Compagnia. Non mi resta che poco tempo; m'avvertono che la nave sta per salpare; ma cercherò di spiegarmi.

Per inverosimile che appaia, nessuno aveva ancora tentato una teoria generale dei giochi. Il babilonese è poco speculativo. Accetta i dettami del caso, gli affida la propria vita, la propria speranza, il proprio terrore, ma non gli accade di investigare le sue leggi labirintiche, le sfere giratorie che le rivelano. Tuttavia, la dichiarazione ufficiosa cui ho accennato ispirò molte discussioni di carattere giuridico-matematico, e da una di esse nacque la proposta seguente: Se la lotteria è una intensificazione del caso, una periodica infusione del caos nel cosmo, non converrebbe fare intervenire il caso in tutte le fasi dei gioco, e non in una sola? Non è ridicolo che il caso detti la morte di qualcuno e che le circostanze di questa morte - pubblica o segreta, immediata o ritardata d'un secolo - non siano anch'esse soggette al caso?. Questi scrupoli, troppo giusti, provocarono finalmente una sostanziale riforma, le cui complessità (aggravate da un esercizio di secoli) non s'intendono che da pochi specialisti, ma che cercherò tuttavia di riassumere, anche se in modo simbolico.

Immaginiamo un primo sorteggio, che detti la morte d'un uomo. Per l'esecuzione, si procede a un altro sorteggio, che proporrà - diciamo - nove esecutori possibili. Di questi esecutori, quattro potranno passare a un terzo sorteggio che dirà il nome del carnefice, due potranno sostituire all'ordine avverso un ordine felice (diciamo, la scoperta d'un tesoro), un altro potrà rendere la morte più acerba (facendola infame, o arricchendola di torture), altri potranno rifiutarsi di darla... Tale è lo schema simbolico. In realtà il numero dei sorteggi è infinito. Nessuna decisione è finale, tutte si ramificano in altre. Gli ignoranti suppongono che infiniti sorteggi richiedano un tempo infinito; basta, in realtà, che il tempo sia infinitamente divisibile, come insegna la famosa parabola della Gara con la Tartaruga. Questo tipo di infinitezza si addice ammirevolmente ai sinuosi numi del Caso e all'Archetipo Celeste della Lotteria, adorato dai platonici... Una qualche eco deforme dei nostri riti sembra essere ricaduta nel Tevere: Elio Lampridio, nella Vita di Antonino Eliogabalo, riferisce che questo imperatore scriveva in conchiglie le sorti che destinava ai convitati, di modo che uno riceveva dieci libbre d'oro, un altro dieci mosche, dieci marmotte, dieci orsi. Conviene ricordare che Eliogabalo fu educato in Asia Minore, tra i sacerdoti del dio eponimo.

Si hanno anche sorteggi impersonali, di proposito indefinito: uno decreta che si scagli nelle acque dell'Eufrate uno zaffiro di Taprobana; un altro, che dal tetto d'una torre si sciolga un uccello; un altro, che ogni secolo si tolga (o si aggiunga) un granello di rena ai grani innumerevoli della spiaggia. Le conseguenze, a volte, sono tremende. Sotto l'influsso benefico della Compagnia, i nostri costumi sono saturi di caso. L'acquirente d'una dozzina di anfore di vino damasceno non si meraviglia se una di esse contiene un talismano o una vipera; lo scrivano che redige un contratto non lascia quasi mai di introdurvi qualche dato erroneo; io stesso, in questa affrettata esposizione, ho falsato qualche splendore, qualche atrocità. E anche, forse, qualche misteriosa monotonia... I nostri storici, che sono i più perspicaci dell'orbe, hanno inventato un metodo per correggere il caso; si dice che le operazioni di questo metodo siano (in generale) fededigne; sebbene, naturalmente, non si divulghino senza una certa dose di inganno. Peraltro, nulla è più contaminato di finzione che la storia della Compagnia... Un documento paleografico, esumato in un tempio, può essere opera di un sorteggio di ieri, o d'un sorteggio di un secolo fa. Non si pubblica libro senza qualche divergenza tra ciascuno degli esemplari; gli scribi prestano giuramento segreto di omettere, di interpolare, di variare. Anche si esercita la menzogna indiretta.

La Compagnia, con modestia divina, evita ogni pubblicità. I suoi agenti, com'è naturale, sono segreti; i comandi ch'essa impartisce incessantemente (forse infinitamente) non differiscono da quelli che s'arrogano gli impostori. D'altra parte, chi potrà vantarsi d'essere un mero impostore? L'ubriaco che improvvisa un'ingiunzione assurda, il sognatore che si sveglia di colpo e strozza con le sue mani la donna che gli dorme a fianco, non c'è il caso che eseguano una decisione segreta della Compagnia? Questo funzionamento silenzioso, comparabile a quello di Dio, provoca ogni sorta di congetture. Una, abominevolmente, insinua che già da secoli la Compagnia ha cessato d'esistere, e che il sacro disordine delle nostre vite è puramente ereditario, tradizionale; un'altra la giudica eterna e insegna che durerà fino all'ultima notte, quando l'ultimo dio annullerà il mondo. Un'altra afferma che la Compagnia è onnipotente, ma che solo influisce sulle cose minuscole: sul grido d'un uccello, su una sfumatura nel colore della ruggine e della polvere, sui sogni incerti dell'alba. Un'altra, per bocca di eresiarchi mascherati, che non è mai esistita e mai esisterà. Un'altra, non meno vile, ragiona che è indifferente affermare o negare la realtà della tenebrosa corporazione, poiché Babilonia, essa stessa, non è altro che un infinito gioco d'azzardo. 

domenica 28 settembre 2008

Words like violence
Break the silence
Come crashing in
Into my little world
Painful to me
Pierce right through me
Cant you understand
Oh my little girl

All I ever wanted
All I ever needed
Is here in my arms
Words are very unnecessary
They can only do harm

Vows are spoken
To be broken
Feelings are intense
Words are trivial
Pleasures remain
So does the pain
W o r d s a r e m e a n i n g l e s s
A n d f o r g e t t a b l e

All I ever wanted
All I ever needed
Is here in my arms
Words are very unnecessary
They can only do harm

giovedì 11 settembre 2008

pianeta rosso aspetta che veniam da te





Questo documento ritenuto per molto tempo un falso della propaganda di regime, rivive oggi nel suo originale splendore. In questi lunghi anni molte se ne son dette e nell'ore in cui i vigliacchi si profanarono eroi sul regime che pur seppe ridare dignità all'Italia si riversò una vile marea di calunnie. Ma fulgido resta l'esempio d'un manipolo d'uomini che lontano da quelle seppero regalare all'Italia un regno nuovo: Pini, Fecchia, Freghieri, Barbagli e Santodio. Oggi la storia sta per ridare onore a questi eroi. Credono lorsignori a quel che voglino. Lo si ritenga anche un artefatto della cinematografia pel diletto di bimbi e donnine. Per quel che concerne noi, fortissimamente affermiamo un pio, mero, meravigliuoso eppure incontestabile fatto storico. Che per intiero s'annunzia e si rapprende in questa semplice se pur trasvolante frase: Alle ore 15 del 10 maggio 1939, Marte è fascista. 
http://it.youtube.com/watch?v=2fimRgciuLQ

lunedì 8 settembre 2008

Un domatore di pulci ed il suo armadio a muro (bozza II).

In un simpatico non luogo disperso da qualche parte lì due metri sopra la realtà, ad un braccio dalla follia ed a miglia dal genio, un burbero ed discutibile domatore di pulci, dall'antipatico  passato ineducato, riordinava meticolosamente i propri demoni riponendoli chi nella cassettiera della camera da letto chi nel comodino chi, i più grandi, nell'armadio a muro del corridoio. 
Svogliatamente. Solo il giorno dopo avrebbe ritrovato tutto il disordine del giorno prima. 
Certo, ora era però molto più semplice gestirli. Erano infatti molto lontani i tempi in cui questi si presentavano così, alla rinfusa ed agli orari più impensati.Così col tempo aveva imparato a dare loro un ordinamento; aveva iniziato con un semplice criterio numerico:  ricordo brutto n°1, ricordo brutto n° 2, ricordo brutto n°3 e via così... Al 203° si era perso ed iniziava a confondere il nome di quella ragazza che gli aveva spezzato il cuore con il volto di quella ragazza il cui cuore aveva spezzato lui. Confondere un senso di colpa con un altro ? Confondere un rimpianto con un semplice errore di valutazione ? Intollerabile! Si era quindi deciso per un ordine cronologico basato sul cambio di stagione. Ricordo brutto estate '97, ricordo brutto autunno '99, ricordo brutto autunno '95...In qualche caso applicava un semplice bis, ter, quater laddove la stagione risultava essere stata davvero complicata. L'estate 97 per esempio riportava una quindicina di varianti, ma era un caso isolato. Fortunatamente! La sfortuna era un' altra: non tutti i demoni, ma è noto, occupano la stessa dimensione fisica. E psicologica! La selezione del contenitore e la scelta dei contenuti dovevano bilanciarsi e rispettare comunque un certo criterio di accessibilità. Era antipatico dover ricorrere a quel ricordo, per esempio, ricordo brutto primavera 99, per trarne ora quel tipo di insegnamento che tanto avrebbe giovato in una situazione così simile, senza saper bene dove questo fosse. E quinci e quindi il cassetto alla destra del letto, un letto ad una piazza e mezza, scelto perchè più intenso più immediato, più caldo (almeno a dicembre quando un aiutino è utile), richiedeva esperienze piccine, sempre negative com'è ovvio, ma di facile e immedita reperibilità e fruibilità . Alzarsi in una notte di cattivi pensieri? Magari di inverno poi? Mai. Decisamente. La cassettiera invece aveva la caratteristisca di essere più diurna, facile e discreta, a portata di mano! Lì erano quindi contenuti ricordi di media dolorosità, almeno nei cassetti superiori; sul contenuto dei reparti inferiori regnava invece l'ignoranza. Appositamente.
Infine l'armadio. 
L' armadio era enorme, di un marrone scuro, 8 ante e specchi nella parte centrale di ogni anta. Gli specchi delle prime sei, quelle dedicate ai grandi ricordi cattivi erano, tutte colorate : dal blu della seconda, il blu era il colore in cui riconosceva l'adolescenza, all'arancione, il colore dedicato al lavoro. In realtà due ante erano in arancione. Ma solo da poco. Ultimamente. 
Per la prima e l'ultima anta invece la scelta era ricaduta sul naturale riflesso del vetro senza colorazioni aggiuntive, per quanto anche in questo caso un pizzico di originalità voleva che entrambi gli specchi producessero immagini deformanti. Nella prima il riflesso ingigantiva nella seconda rimpiccioliva. Su entrambe un' etichetta quasi invisibile all'altezza del cardine alto riportava la stessa scritta "La mia piccola Psicotica".
Non tutte le ante erano colme anche se alcune erano oramai praticamente sigillate. Quella relativa allo studio, la terza, di un bel colore rosso, appassionato e vivace, oramai non veniva quasi aperta per metterci materiale nuovo ed anzi era da un po' che il domatore di pulci pensava di trasferirne il tutto in uno dei vani della cassettiera, appena da quest'ultima ne fosse sparito il contenuto.  Già; dalla cassettiera infatti i ricordi, quelli disposti nei vani in basso, dopo un poco sparivano. Non per sempre. Ovviamente. A volte capitava anche che uno di questi riapparisse da solo in salotto dopo un sacco di tempo; o nel bagno o in terrazza.
In rari casi come quello attuale, tornando a casa, specie dopo lunghi viaggi lontano da sè, li ritrovava dapertutto. E purtroppo questo disordine, quando si presentava già sapeva  che si sarebbe autoprodotto anche nei giorni successivi. 

venerdì 5 settembre 2008

" I am MINE "



Pearl Jam , Riot Act .

The selfish, they're all standing in line
Faithing and hoping to buy themselves time
Me, I figure as each breath goes by
I only own my mind

The North is to South what the clock is to time
There's east and there's west and there's everywhere life
I know I was born and I know that I'll die
The in between is mine
I am mine

And the feeling, it gets left behind
All the innocence lost at one time
Significant, behind the eyes
There's no need to hide
We're safe tonight

The ocean is full 'cause everyone's crying
The full moon is looking for friends at hightide
The sorrow grows bigger when the sorrow's denied
I only know my mind
I am mine

And the meaning, it gets left behind
All the innocents lost at one time
Significant, behind the eyes
There's no need to hide
We're safe tonight

And the feelings that get left behind
All the innocents broken with lies
Significance, between the lines
(We may need to hide)

And the meanings that get left behind
All the innocents lost at one time
We're all different behind the eyes
There's no need to hide

mercoledì 3 settembre 2008

L'uccello Padulo

L'uccello Padulo, scientificamente Padulus Padulus, è un animale molto misterioso seppur tutt'altro che raro; si tratta di un uccello terrestre dalle abitudini parassitarie sprovvisto di ali adatte al volo ma comunque piumato,le cui capacità non sono state ulteriormente riscontrate nè in natura nè in letteratura.
Particolarmente noto nelle piane pontine della penisola italica risulta molto presente nell' area metropolitana romana dove è noto alla popolazione da tempi lontani ( Plinio il vecchio, Naturalis Historia, XXXVI. 37).
Il suo comportamento nella fase non parassitaria dell' esistenza non è stato ancora accuratamente studiato per quanto risultino comunque notissime tanto le strategie di caccia quanto la proverbiale capacità di aggredire e sottomettere prede anche molto impegnative; risulta infatti in grado di compiere grandi e velocissimi balzi, in genere verticali, che sfrutta assieme alle capacità mimetiche per sorprendere le proprie prede installandosi nel loro organismo unicamente per via rettale. In tale scomodissima posizione può sostare a tempo indeterminato generando nell'ospite solido e stabile malumore.
Il mimetismo raffinatissimo, che raggiunge casi di reale ed effettiva invisibilità, lo rende assolutamente impossibile da sorprendere in natura se non direttamente all'interno del corpo dell'organismo ospite. I tentativi di asportazione dall'ospite stesso hanno comportato la morte immediata degli esemplari trovati rendendone quindi impossibile lo studio in vitro.
Risulta comunque accertato che nascondendosi in qualunque anfratto abbia Dio posto su questa terra possa attendere anche per interminabili ore la sua potenziale preda accuratamente selezionata tra numerosissime altre. Predilige le persone audaci ma non forti.
Gli attuali strumenti medici non permettono alcuna cura. In genere si stanca dell'ospite abbastanza velocemente anche se sono noti casi di persistenze a tempo indefinito. Unica soluzione una stoica sopportazione.
LRP

martedì 2 settembre 2008

Ego te Absorbo.

"...L’individualismo spiccato, volto alla massimizzazione ed alla capitalizzazione dei benefici, fa sì che ogniqualvolta l’assorbimento viene attivato – nella concreta realtà aziendale – si inneschi una reazione psicologica di opposizione o comunque di carattere ostile, con riflessi negativi sul piano della produttività individuale.
Il meccanismo dell’assorbimento è invece – in mani coscienti e responsabili – una valvola di sicurezza che meriterebbe da parte degli operatori sindacali e dei lavoratori un diverso e più positivo atteggiamento. È uno strumento salutare e rivitalizzante, idoneo ad evitare stratificazioni e consolidazioni immotivate di benefici che, oltre un certo tempo, rifluirebbero sotto veste di rendite parassitarie.
L’impresa non deve privilegiarlo (o auspicarlo) solo perché gli conferisce la momentanea utilità della riduzione del costo del lavoro, ammortizzando gli impatti più o meno onerosi dei rinnovi contrattuali, ma perché è il mezzo accordato legalmente e pattiziamente per ricostruire – passando per la temporanea egualizzazione dei trattamenti corrispettivi a fronte di diversificate capacità – le condizioni di base per un sempre aggiornato sistema di riconoscimento del merito.
Anche il lavoratore, culturalmente evoluto, non dovrebbe essere maldisposto nei confronti del meccanismo stesso. Mentre il meccanismo dell’assorbimento annulla i benefici acquisiti (in quanto meritati in un certo periodo) di fasce di lavoratori, taluni dei quali possono essersi nel frattempo adagiati nell’apatia o involontariamente precipitati (per ridotta capacità fisiologica) in una contrazione di rendimento, libera al tempo stesso l’azienda da oneri e gli lascia più ampi spazi per una politica meritocratica. L’assorbimento trova quindi tutta la sua valenza nell’essere strumento di egualizzazione “transitoria”; cioè mezzo non volto a fare dell’egualizzazione l’alternativa alla diversificazione salariale ma per consentire, all’opposto, il rinnovarsi di strumenti concretamente stimolanti e realmente compensativi - secondo criteri di equità, obiettività e trasparenza - di più elevate capacità, attitudini ed impegno.
Naturalmente l’attivazione di una politica del merito deve trovare, a monte, una convergenza di posizioni delle controparti sociali sulla nozione di “merito” e sull’opportunità della sua contrattualizzazione. In omaggio a questo difficile compito, le direzioni aziendali – che ancora detengono le chiavi della politica meritocratica ed incentivante - dovrebbero sacrificare (ed abbandonare) valutazioni secondo criteri da confraternita, oramai culturalmente e socialmente superati (quali disponibilità, accondiscendenza, gregarietà, affidabilità soggettiva o per segnalazione clientelare), per lasciare spazio a requisiti oggettivi direttamente collegati alla qualità e professionalità della prestazione, che i sindacati dovrebbero pretendere ed impegnarsi a codificare nei contratti di lavoro, con formulazioni stringenti e tutt’altro che generiche (come, invece si presentano quelle reperibili, ad esempio, nel contratto del credito, relativamente all’omologa materia dei fattori o criteri di valutazione per le promozioni per merito comparativo)."
Mario Meucci
Roma, 13 ottobre 2007 (pubblicato in Consulenza, Buffetti ed., n. 39/2007)

Ovvero(1) : in assenza di criteri di misurazione basati su requisiti oggettivi e condivisi l'utilizzo dello strumento dell'assorbimento non è in grado di inquadrare meritocraticamente le prestazioni professionali generando, laddove applicato, anche, se non sopratutto per la natura unilaterale della sua messa in opera, una spirale negativa sulle stesse prestazioni professionali della risorsa umana. Ovvero (2) : sulle mie.

domenica 31 agosto 2008

Alfa


lo maggior corno de la fiamma antica cominciò a crollarsi mormorando pur come quella cui vento affatica indi la cima, qua e là menando, come fosse lingua che parlasse, gittò voce di fuori e disse "Quando..."