martedì 2 settembre 2008

Ego te Absorbo.

"...L’individualismo spiccato, volto alla massimizzazione ed alla capitalizzazione dei benefici, fa sì che ogniqualvolta l’assorbimento viene attivato – nella concreta realtà aziendale – si inneschi una reazione psicologica di opposizione o comunque di carattere ostile, con riflessi negativi sul piano della produttività individuale.
Il meccanismo dell’assorbimento è invece – in mani coscienti e responsabili – una valvola di sicurezza che meriterebbe da parte degli operatori sindacali e dei lavoratori un diverso e più positivo atteggiamento. È uno strumento salutare e rivitalizzante, idoneo ad evitare stratificazioni e consolidazioni immotivate di benefici che, oltre un certo tempo, rifluirebbero sotto veste di rendite parassitarie.
L’impresa non deve privilegiarlo (o auspicarlo) solo perché gli conferisce la momentanea utilità della riduzione del costo del lavoro, ammortizzando gli impatti più o meno onerosi dei rinnovi contrattuali, ma perché è il mezzo accordato legalmente e pattiziamente per ricostruire – passando per la temporanea egualizzazione dei trattamenti corrispettivi a fronte di diversificate capacità – le condizioni di base per un sempre aggiornato sistema di riconoscimento del merito.
Anche il lavoratore, culturalmente evoluto, non dovrebbe essere maldisposto nei confronti del meccanismo stesso. Mentre il meccanismo dell’assorbimento annulla i benefici acquisiti (in quanto meritati in un certo periodo) di fasce di lavoratori, taluni dei quali possono essersi nel frattempo adagiati nell’apatia o involontariamente precipitati (per ridotta capacità fisiologica) in una contrazione di rendimento, libera al tempo stesso l’azienda da oneri e gli lascia più ampi spazi per una politica meritocratica. L’assorbimento trova quindi tutta la sua valenza nell’essere strumento di egualizzazione “transitoria”; cioè mezzo non volto a fare dell’egualizzazione l’alternativa alla diversificazione salariale ma per consentire, all’opposto, il rinnovarsi di strumenti concretamente stimolanti e realmente compensativi - secondo criteri di equità, obiettività e trasparenza - di più elevate capacità, attitudini ed impegno.
Naturalmente l’attivazione di una politica del merito deve trovare, a monte, una convergenza di posizioni delle controparti sociali sulla nozione di “merito” e sull’opportunità della sua contrattualizzazione. In omaggio a questo difficile compito, le direzioni aziendali – che ancora detengono le chiavi della politica meritocratica ed incentivante - dovrebbero sacrificare (ed abbandonare) valutazioni secondo criteri da confraternita, oramai culturalmente e socialmente superati (quali disponibilità, accondiscendenza, gregarietà, affidabilità soggettiva o per segnalazione clientelare), per lasciare spazio a requisiti oggettivi direttamente collegati alla qualità e professionalità della prestazione, che i sindacati dovrebbero pretendere ed impegnarsi a codificare nei contratti di lavoro, con formulazioni stringenti e tutt’altro che generiche (come, invece si presentano quelle reperibili, ad esempio, nel contratto del credito, relativamente all’omologa materia dei fattori o criteri di valutazione per le promozioni per merito comparativo)."
Mario Meucci
Roma, 13 ottobre 2007 (pubblicato in Consulenza, Buffetti ed., n. 39/2007)

Ovvero(1) : in assenza di criteri di misurazione basati su requisiti oggettivi e condivisi l'utilizzo dello strumento dell'assorbimento non è in grado di inquadrare meritocraticamente le prestazioni professionali generando, laddove applicato, anche, se non sopratutto per la natura unilaterale della sua messa in opera, una spirale negativa sulle stesse prestazioni professionali della risorsa umana. Ovvero (2) : sulle mie.

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